Scegli le parole con cura
Mentre fai l’inventario delle frecce che contiene la tua faretra da leader, ricorda che le più potenti sono le tue parole.
Sono le più facili da scagliare e quelle che probabilmente hanno l’impatto maggiore, nel bene e nel male.
Le parole che scegliamo di usare sono ciò che eleva e valorizza gli altri o li sminuisce e consolida una paura o una particolare idea che possono avere riguardo al proprio talento e alle proprie capacità. Alcuni dei momenti più memorabili della mia carriera sono legati non tanto alle esperienze in sé, quanto piuttosto a chi mi ha detto cosa.
Ricordo che mia madre, dopo una cena del Ringraziamento più di trent’anni fa, in piedi davanti al lavandino della cucina mi disse: “Non credo che riuscirai a raggiungere questo obiettivo finché non avrai finito l’università e ripagato tutti i tuoi debiti“.
Ricordo che il capo della prima azienda in cui lavorai ventitré anni fa, mi disse (e ricordo ancora il nome del ristorante e a quale tavolo fossimo seduti): “Tu proprio non capisci. Ho bisogno di qualcuno che capisca”.
Ricordo che il Capo del Personale (CPO) di FranklinCovey recentemente mi ha detto: “Scott, sei la persona più coraggiosa che conosca“. Per la cronaca, l’ultimo l’ho preso come un complimento…
Scommetto che se tu provassi a fare lo stesso esercizio, ricorderesti momenti altrettanto memorabili della tua vita. E, per quanto spaventoso, forse ricorderesti anche cose che tu hai detto agli altri e che loro ancora ricordano, nel bene e nel male. Se adesso chiudessi questo articolo e iniziassi a fare un giro di scuse, lo capirei.
Come molte, forse troppe altre persone, sono quello che viene definito un “processore esterno”. Tendo a dire quello che penso in tempo reale, poi ascolto e giudico quanto bene è stato recepito dagli altri.
Circa il 50% delle volte viene accolto bene.
Circa il 30% delle volte viene accolto molto bene.
Il 15% circa delle volte viene accolto molto male.
Più o meno il 5% delle volte va così male da mettere a rischio relazioni e carriera.
Spesso dico quello penso perché sentendolo ad alta voce, riesco a capire meglio se ha senso e se è il modo giusto per esprimere a voce quello che sto pensando. Parlo spesso per metafore. Alcune sono incredibilmente stimolanti. Comunicano perfettamente quello che voglio che accada e dipingono un’immagine inconfondibile nella mente di chi ascolta, cosicché gli altri possano realizzare la mia visione per un progetto e, perché no, migliorarla. Tuttavia, a volte (sempre più spesso mi dice mia moglie), le mie metafore non solo escono dai binari, ma trascinano con sé i passeggeri, urlanti di orrore (vedi cosa intendo?!).
Nell’intervista a Ursula Burns, nel nostro podcast On Leadership, ci racconta come pressoché ogni volta che si parli di lei, lo si fa descrivendola come il primo Amministratore Delegato di colore e donna di un’azienda Fortune 500. È onorata di detenere questo titolo, ma lei è molto di più di quello. Non ha ricevuto quel titolo per il colore della sua pelle o del suo sesso, ma per le sue competenze e il suo carattere, di cui ha dato ripetutamente prova nel corso della sua pluridecennale carriera come ingegnere e leader colto e abile all’interno della Xerox. Come ogni altro presentatore, anche io ho ripetuto banalmente lo stesso copione, senza pensare a lei in modo più ampio.
Quanto spesso ci ritroviamo a ripetere cose che abbiamo sentito senza verificarne l’accuratezza, senza cercare di capire i fatti, o cosa ancora più importante, le sottili sfumature di una storia che spesso sono, in realtà, la vera storia? Ursula Burns è molto di più del colore della sua pelle e del suo sesso. Studiare la sua carriera ci fa capire che è davvero notevole, al punto da fare la storia, e questo ancora prima che diventasse Amministratore Delegato.
Ricordo l’intervista di On Leadership con Emmanuel Acho, social media influencer, ex giocatore della NFL e autore del bestseller Uncomfortable Conversations with a Black Man. Durante la nostra conversazione disse una cosa che non dimenticherò mai: “Non sentiamo mai dire il primo presidente Bianco, il primo miliardario Bianco, il primo senatore Uomo Bianco”. È sempre sulla prima persona di colore, sulla prima donna, sulla prima persona di origine ispanica”.
Sto cercando di fare molta attenzione alle parole che uso per inquadrare le persone, per stimolare delle conversazioni, per fornire un contesto.
Spesso lo faccio in maniera inconscia e invece dovrei scegliere con maggiore consapevolezza le parole che uso per descrivere gli altri, me stesso, i miei figli, le persone che dipendono da me a lavoro, gli ospiti del mio podcast.
La lista delle persone nella mia vita che posso sminuire o valorizzare con le mie parole, sia a livello professionale che personale, è enorme. Devo e voglio essere più attento quando descrivo loro, i loro progetti, i loro obiettivi e anche i loro sogni; proprio come vorrei che facessero con me.
I principi di una leadership efficace non sono cambiati, ma in un contesto in cui alcune persone lavorano dall’ufficio, altre da casa e altre ancora seguono un modello ibrido, i leader devono applicare questi principi in modo diverso.